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Restava da scegliersi il momento, l'opportunità, la prima parola.

Avrei fatto così: invece di lavorare assiduamente com'è mio costume trascinerei intorno il gomitolo e lascerei cadere le mani in grembo. Sofia non mancherebbe di chiedermi: Che hai questa sera? — ed io allora: Ah! Sofia, tu mi domandi che ho? ecc.

Oppure — bisogna prevedere tutto — dato il caso che Sofia non volesse accorgersi delle mie distrazioni, dovevo prendere il toro per le corna e incominciare: Sofia, la lunga amicizia che ci lega, la mia esperienza, la tua giovinezza, il nostro afletto, la sua maldicenza... parto del mondo.

O non era meglio scrivere?

Sì, no, scriverò, parlerò. Scoccarono intanto le otto ed io, rimandando al domani la decisione, cacciai la calza nel panierino e mossi dalla mia alla villa di Sofia.

La campagna era deserta, ravvolta in una leggiera nebbiolina. Attraversati i pochi sentieri che ci dividevano, entrai da Sofia, ma la cameriera