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maturanza delle nespole; poi la fiamma si spense, non so bene perchè, per atonia, per malintesi, perchè la ragazza era troppo giovane o lui troppo timido o perchè doveva spegnersi.
Andarono, l’uno sulla via della medicina, l’altra su quella del matrimonio; il primo a immergere specilli, la seconda a gettar scandagli; studiando tutti e due la gran scienza della vita.
Ora, dopo dieci anni, il caso li riuniva in un cimitero.
Emanuele era diventato un po’ più pallido; aveva una gran barba castagnina, due occhi serii e profondi. Era medico di prim’ordine.
Sofia, cui il matrimonio aveva giovato, sembrava trovarsi benissimo anche nella vedovanza e positivamente non si preoccupava delle seconde nozze; era sempre, con gran dispetto delle sue rivali, una donnina fresca, vivace, seducente, con una dozzina di pozzette sparse un po’ dappertutto e un sorriso che valeva un Perù.
L’avevano soprannominata il polo nord per la resistenza veramente di ghiaccio contro la quale si spuntavano le freccie de’ suoi adoratori.
Ella diceva: l’amore è il wermouth che gli stomachi deboli prendono prima del pranzo; una volta seduti a tavola non si prende più wermuth.