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adombrava gli omeri ignudi e tremolava come una nuvoletta ai raggi della luna.
— Eterno Iddio chi vedo? La celeste Badura! — mormorò Bettredin vicino a svenire.
— Conversa, a quanto pare, con un genio della notte — disse Nourredin separando i rami per osservare meglio, e dopo aver osservato soggiunse: — e il tema non mi ha l’aria di essere molto spirtuale...
Per quanto i due filosofi usassero cautela il loro bisbiglio fu udito. I calzoncini color perla balzarono in piedi e il caffetan azzurro si pose in guardia facendo balenare la lama damaschinata d’una scimitarra persiana.
— Allontaniamoci — biascicò il marito mezzo morto per l’affanno e l’altro mezzo per la paura — io sono il più infelice degli uomini.
— O non avete per consolarvi l’anima immortale?
Bettredin non rispose verbo; tutti e due macchinalmente ripresero la via del palmizio. L’aurora imperlava gli estremi lembi dell’orizzonte e gli uccelli chiacchierini cantavano i loro amori sulle cime dei bambù.
Due giovani contadini marito e moglie entravano allora in Bagdad carichi di frutta e di erbaggi