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— È appunto per questo che non credo. Datemi una prova evidente, palpabile, sicura...

— Alzate gli occhi al cielo e mirate la danza armonica degli astri nell’etere inesplorato. Ditemi, la forza che li regge può essere materia?

— Perchè no? Dal momento che un atto puramente materiale soffia la così detta anima in un corpo d’uomo... ci vorrà maggior spirito a fare una stella?

— Ma questi astri brillanti di una luce incognita non dicono nulla al vostro cuore?

— Sì — disse Nourredin alzandosi — essi mi avvertono che è l’ora di andare a letto, e spero bene che l’incantevole Aïssa mi aspetterà impaziente per presentarmi una torta di ribes fatta colle sue belle mani. Venite anche voi?

— Non ancora. È questa l’ora soave del raccoglimento e della meditazione. Vedo di qui la celeste Badura in colloquio coi genî misteriosi della notte; le nostre anime vaganti d’astro in astro si incontreranno in pure aspirazioni che non giova turbare con una importuna presenza.

— Addio, dunque. Che Allah vi protegga.

La casa di Nourredin, bianca, piccina, cinta da aranci (destinati a fare del giulebbe) e che la nascondevano quasi tutta, pareva immersa nel sonno.