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I miei giorni non sono mai trascorsi così placidi.

In convento almeno c’erano delle chiacchiere, delle espansioni d’amicizia, degli impeti di rabbia seguìti da una dolce pace; e l’emulazione che ci teneva sempre deste — oh! cari piaceri io vi ho disprezzati un poco, ma ora quasi vi desidero.

Che faccio qui? Alla mattina mi alzo e passeggio in giardino; il viale dei platani è simpatico, ma c’è in fondo la finestra del maggiore... e mi fa soggezione.

Vado nel pollaio a raccogliere le uova per la colazione di babbo; poi in guardaroba per imparare dalla vecchia Giovanna come si fa a regolare una casa. — Giovanna è una buonissima donna, lo so, ma sputa in faccia quando parla; è un difetto grosso — le sue lezioni non le ascolto mai fino alla fine. Ricamo, leggo, torno in giardino — il maggiore è quasi sempre alla finestra — e all’ultimo mi rifugio in sala dove pur troppo mi addormento.

Forse prenderò una risoluzione. Visto che sull’ultimo numero del mio giornale di mode c’era un disegno assai grazioso per sedie rinnoverò tutte le sedie del salotto — sono sedici e mi daranno un bel da fare.