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lasciati sull’altra sponda del Ticino e sorrise al destino bizzarro che gli aveva fatto terminare così platonicamente una partita incominciata sotto tutt’altri auspici.
Dormì poco e male all’ombra cosmopolita della Croce Bianca, nè alla mattina destandosi e aprendo le imposte si curò di verificare se la cappellaia dirimpetto aspettasse gli uccelli di carta mostrando di cucire le fodere di raso accanto ai vetri.
Si alzò nervoso e impaziente. L’antico Patrizio era in lotta col nuovo — il libertino combatteva ancora per l’onore delle armi coll’innamorato.
Scoccarono le dieci: Patrizio pensò che era ora di farla finita in un modo o nell’altro.
S’avviò bel bello alla casa di Gildo, salì i gradini, guardò l’uscio e lo vide aperto — entrò nella camera — deserta! Il letto vuoto, i cassettoni rovesciati, le sedie fuori di posto — una donna di servizio scopava sulla soglia.
La bella paradisea dalle ali azzurre era volata via.
Fu allora che cominciò per Patrizio una fase di attività prodigiosa e di passeggiate interminabili su e giù per Pavia, rovistando in tutte le case, spiando tutte le finestre, seguendo ogni persona che alla lontana rassomigliasse, sia pure come uomo o come donna, il suo perduto Gildo.