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Ogni mattina sotto i portici dell’Università i due amici si incontravano.
Patrizio non si sentiva completo se non vedeva la bruna personcina del suo protetto movergli incontro e domandargli:
— Mi permetti, Patrizio, di venire con te?
Del resto Patrizio non si era mai curato di informarsi precisamente sulla condizione di Gildo. Sembrava molto agiato; questo era facile a capirsi dagli abiti, dalla biancheria finissima, dalla bella camera che abitava, dalla facilità di spendere. Chi fosse poi era un segreto che egli sembrava custodire gelosamente e che Patrizio non aveva smania di conoscere.
Facevano insieme delle lunghe passeggiate. Insensibilmente, senza accorgersene e senza annoiarsi, Patrizio variava il suo genere di vita.
In presenza di Gildo non gli piaceva comparir troppo scapato; l’innocenza di quella creatura gli imponeva un rispetto superstizioso e poetico; ne subiva senza sforzo l’ascendente e più d’una volta in quel dolce mese d’aprile si trovò — lui, lo scapestrato — a correre in un prato insieme a