Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/240


— 230 —

brava attaccarsi a lui come una di quelle esili pianticelle che non hanno la forza di sostenersi.

— Andiamo, Gildo, su! Non voglio che tu vegli così tardi; un’altra sera te lo proibirò.

Gli pareva di avere verso quel fanciullo dei doveri di padre; — lui che avrebbe riso delle cose più sacre provava vicino a Gildo una specie di pudore misterioso e bizzarro.

— Levati dunque, ti accompagnerò a casa. Sei ancora tutto sossopra perchè Augusto ti ha domandato che cos’è l’ipotenusa; a me, vedi, non importa affatto che tu non lo sappia. Se te lo domanda un’altra volta digli che l’ipotenusa è una persona di spirito fra due imbecilli. Da bravo; dammi il braccio. Stai bene?

Gildo non rispose; parlava sempre pochissimo; oramai Patrizio era abituato a leggere ne’ suoi grandi occhioni neri e gli occhioni neri di Gildo erano, quella sera, straordinariamente mesti.

Patrizio non disse più nulla. Silenziosi tutti e due s’avviarono e, giunti sulla porta del matricolino, Patrizio gli accese uno zolfanello perchè ci vedesse su per la scala.

— Singolare personaggio! — pensava poi Patrizio allontanandosi. — Eppure... eppure sento di amarlo più di tutti gli altri.