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dulati e con due guance pallide pallide, illuminate da occhioni neri grandissimi. Teneva la testa china e appariva molto timido.
— Studente? — disse Patrizio dopo averlo esaminato un istante.
— Sì.
— Matricolino?
— Sì.
— Non ti ho mai veduto. E tu mi conosci? L’altro esitò; poi rispose:
— Questa sera per la prima volta.
— Grazie, mi hai reso un servigio; tra camerati è facile poterlo rendere ed io non lo dimenticherò. Come ti chiami?
— Gildo.
— Va bene. Ma se la memoria non mi tradisce, io devo aver ricevuto qualche pugno da quei birbanti — qui, là, un po’ dappertutto. Ahi! mi sento le ossa indolenzite. Spero bene, Gildo, che mi lascerai dormire nel tuo letto questa notte.
Pare che ciò non entrasse nei progetti di Gildo.
— Con che cuor... — incominciò Patrizio modulando il ritornello di una canzonetta che era allora in tutta la sua voga. — Con che cuor... mandarmi via in tale stato? Aspetti forse qualcuno, matricolino?... Se non è che questo, io sono