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più una bambina. Sentiva della vita tutta la mestizia e la sublimità. Il dolore le ingrandiva l’anima.
Lavorava adesso per guadagnare il duro pane; nè di ciò veramente le incresceva molto — era coraggiosa. Ma Daniele non trovava mai dove collocarsi. Lo avevano lusingato con promesse e proteste d’amicizia, intanto il tempo passava e un tetro sconforto si impadroniva di lui. La sua robusta salute ne fu scossa.
Un anno trascorse a quel modo, lento, uggioso, fra lotte meschine d’ogni giorno, colla preoccupazione continua dell’avvenire sospesa come una minaccia sulle preoccupazioni presenti.
Daniele parlava poco. Aveva l’apparenza calma, quasi serena; tentava molte volte di sorridere, ma l’occhio profondo della sorella ne scrutava la mentita rassegnazione e scendeva fino a ricercargli il cuore — quel cuore che sanguinava.
L’ozio forzato, i pensieri insistenti, terribili, il dubbio — verme che lacera i visceri — lo sgomento, la sfiducia di sè, di tutti e una stanchezza dolorosa lo minavano, lo struggevano nelle radici della vita.
Nei primi giorni del milleottocentocinquantanove, quando incominciava a fremere in Lombardia la