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Daniele era ricaduto sulla sedia.

— Mio povera sorella — esclamò — siamo dunque così miseri da destare perfino la compassione di un vagabondo!

— Daniele!... Oh, Daniele!

L’accento doloroso di Clelia lo colpi. Egli l’aveva ferita, senza saperlo, nel lato più sensibile ed esulcerato.

L’infelice amante si nascose la faccia tra le mani; il suo cuore traboccava.

Pianse a lungo, dapprima disperatamente, poi silenziosa a intervalli rotti da profondi sospiri.

Raccontò tutto, seduta su uno sgabello, colla fronte appoggiata ai ginocchi di Daniele come quando, piccina, calmava così i suoi primi dolori.

E Daniele ascoltò, grave, ma non accigliato, la confessione della sorella. Era una nuova disgrazia che piombava su di lui, ma più ancora sulla poveretta.

Non le mosse alcun rimprovero. Sapeva che amore non ragiona. Le disse appena con somma dolcezza, quasi volesse garantirla contro futuri disinganni: