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sempre in piedi, così che colla aitante persona nascondeva la sorella, ripetè ben cinque o sei volte come strette da una gran premura:

— Addio, state sano, state bene.

I cavalloni rossi si mossero e la carrozza ripartì.

— Ah! — gridò Clelia mettendo la testa fuori del finestrino — ho perduta una delle mie rose!

— Poco male, rose non ne mancano — borbottò Daniele afferrandola per un braccio e tirandola indietro.

Clelia ricadde sui cuscini della carrozza vicino al fratello e non disse più nulla. Ma aveva veduto il giovane bandito raccogliere la sua rosa.

Il lettuccio che Clelia occupava in casa del fratello era il medesimo che aveva protetto per ben dieci anni i suoi sonni innocenti al collegio delle Orsoline.

Piccolo lettuccio colla sponda di ferro e il materasso di crine, tu solo conosci i pensieri di Clelia — e sai se in quella notte una figura alta e snella, cogli occhi neri e la pistola al fianco, le apparve in una lunga visione di guerrieri, di dame, di frati oranti, di rose, di baci.

Certo è che al mattino, appena levata, spalancò la finestra e cercò collo sguardo la torre dell’Abbazia nereggiante in mezzo ai pioppi, ma nell’ap-