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un bue con un pugno, e capacissimo di trattenere il fiato per non sciupare le rose di sua sorella, come faceva allora per l’appunto.

Queste rose, ammirabili per la stagione, in numero di tre come le Grazie. riposavano sui ginocchi di Clelia e la fanciulla vi prodigava le più delicate attenzioni.

Lei poi era una bella ragazza, giusta miscela di campagnuolo e di cittadino; fresca ed elegante; robusta e gentile. Era stata in collegio dove si imparano tante belle cose, e uscitane, vi aveva aggiunto di suo la lettura dell’Jacopo Ortis — che era allora molto alla moda — e che l’impressionò assai.

I due fratelli tornavano placidi e sereni dopo aver passato una giornata in città alla placida vita dei campi. Quando furono vicini all’antica Abbazia di Chiaravalle Clelia voltò la testa.

— La tua simpatia — disse Daniele ridendo.

— Sì. Non vedo mai questa vecchia chiesa senza emozione. È poetica, è imponente così tutta nera in mezzo ai prati verdi. Solamente a pronunciare il nome: Abbazia di Chiaravalle! par di sentire un profumo medioevale, delle preci di frati, un tintinnìo di spade, e principesse infelici appoggiate al verone che suonano il liuto.