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case vicine, ora un giacinto che faceva capolino da una bottiglia tra i doppi vetri della finestra; ma più spesso un posto vacante alla gran tavola di quercia, un posto dove ella avrebbe messo volontieri la posata, ma che l’ordine formale di Joseph Goldbacher doveva lasciare vuoto.

A un tratto, nello specchietto che appeso fuori della finestra secondo l’uso di Germania, rifletteva la porta della casa e con essa le persone che entravano o che uscivano, Elisabet vide disegnarsi la snella figura di un giovinetto e arrossendo tutta per improvvisa emozione si slanciò nell’erker (balconcino coperto di vetri dal quale si domina tutta la contrada).

Il giovinetto sollevò la testa, la vide e le fece un cenno grazioso che voleva dire: coraggio! Poi sparve con aria affrettata e giuliva.

Elisabet non sapendo cosa pensare e male accordando la felicità del giovinetto colla propria malinconia, se ne stava muta contemplando l’angolo per dove era scomparso, quando entrò la grossa. Trudchen con un piatto fumante di schibling in una mano e una insalata di patate nell’altra.

Nel passare accanto alla fanciulla inchinò verso lei il suo volto pavonazzo dove due occhietti grigi