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Su questa saggia conclusione i due sposi chiusero gli occhi.
Ben tosto la camera ripercosse il russare sonoro e prolungato di Joseph Goldbacher mentre il sonno di Gretchen, più leggero, tradiva l’inquietudine.
Il sole — un pallido sole di febbraio — aveva già baciato le ondo azzurrine dove Lindau si bagna, vaga nereide del lago di Costanza; il borgomastro e la sua fida consorte dormivano della grossa.
Nel salotto riscaldato dall’enorme stufa di terracotta dove si schieravano in bell’ordine i seggioloni coperti di cuoio a grosse borchie lucenti, Elisabet stendeva la tovaglia sul nero e massiccio tavolo di quercia intorno al quale si erano allargate le pancie di ben quattro generazioni di Goldbacher.
La ragazza sembrava molto mesta.
Sotto le palpebre che ombreggiavano i suoi quieti occhi sfuggiva tratto tratto una lagrimuccia che non arrivava a cadere perchè le guancie pienotte la raccoglievano e vi si stemperava sopra, luccicando come una pioggia lieve sulle foglie di una rosa.
Ora guardava i tetti grigi e acuminati delle