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che i nostri progressi erano troppo ineguali per continuare a istruirci insieme. Si rimase d’accordo che io sarei andato alla mattina e Vittorio dopo mezzogiorno.

La mia vanità fu oltremodo solleticata per questo ritrovato ingegnoso e il mio amore seppe approfittarne. Wilhelmine era una di quelle donne dolci, sentimentali e vaporose sulle quali si arresta quasi sempre la fantasia inesperta di un giovanetto in cerca del suo primo amore.

Il primo amore, si sa, è indispensabile come il primo veglione — e torna poi comodissimo a quarant’anni, quando si sente il bisogno di rifare il cuore e di tessere un po’ di poesia retrospettiva.

Wilhelmine dunque era sentimentale. Amava il raggio di luna, le stelle nuotanti in una striscia di latte, leggeva Werther, sfogliava le margherite e mostrava un delicato orrore per tutto ciò che sapeva di materia.

lo l’adoravo. Avrei voluto avere ali d’angelo per sfiorare, accarezzandoli, i suoi biondi capelli. Invidiavo le zanzare e le mosche che si posavano sul suo bianco collo. Invidiavo il suo canerino che le baciava le labbra per carpirle una mandorla.

Tenera e appassionata, non mi nascondeva l’af-