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— Dove diavolo mi conduci?
— Il genio abita sempre in alto, le vette o il quinto piano. Il primo piano e le valli sono per la gente da poco, per gli infelici banchieri carichi di reumatismi, per i milionari idioti, razza plebea che non comprende la voluttà dell’aria libera, del cielo spazzato.
— E di quindici lire al mese per il fitto.
Eravamo giunti. L’amico bussò a una casetta piccina e bianca che dominava da un letto di verdura tutta la valle del Brembo; aveva davanti un giardinetto pieno di rose e a tergo i picchi di granito vestiti di muschio. Vi si respirava l’idillio — ma io me lo guastai anticipatamente pensando alla barba del professore — caso morale e pratico per dimostrare che a guastarsi le idee si è sempre a tempo! Comparve una giovine signora bionda, grassotella, con un nastro ceruleo intorno alla vita.
— Guten Tag! — diss’ella inchinandosi con una mossa franca e leggiadra.
— Madamigella — rispose il mio amico — noi siamo totalmente stranieri alla lingua di Goethe. Voglia permetterci di salutarla in italiano.
Ella biascicò qualche parola italiana facendosi rossa — per mio conto capii più il rossore che le parole.