sione per il giuoco e per la mensa si estendevano da Versailles, centro della Corte, alla città di Parigi, dove un’altra aristocrazia, quella dell’ingegno, teneva le sue piccole corti chiamate bureaux d’esprit un po’ qui, un po’ là, nella via di Sant’Onorato e nel sobborgo di San Germano, dove, invece di giuocare, si discuteva filosoficamente. Tre di questi salotti riunivano in modo speciale tutte le condizioni della celebrità e furono senza dubbio quelli della Geoffrin, della Du Deffant, della Lespinasse; i due ultimi più vicini alla signorile distinzione dell’alta società per la nascita e per l’educazione di che li dirigeva, più splendente forse di ingegno ma più alla buona il salotto della signora Geoffrin, borghese semplice di modi e di costumi, nel quale tuttavia Marmontel trova che non c’era abbastanza libertà di pensiero, perchè la padrona di casa non voleva tollerarvi la boccaccesca licenza della parola tanto in uso e tanto tollerata altrove; per esempio, in casa di Helvetius (così sincero nella intimità quanto fittizio appare ne’ suoi scritti) e del barone d’Holbach, questo tedesco dalla larga cultura e dal largo censo,