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tavola fidanzata. Naturalmente ella non amò mai suo marito, ma lo tollerò con sufficiente filosofia, consolandosi a scrivere versi, per il quale innocente esercizio ella aveva una speciale passione esente da velleità letterarie che le rendeva tuttavia piacevole la compagnia dei letterati. Scrivere versi per quelle signore non implicava affatto l’idea di stamparli e di darli in pascolo alla folla. Sofia d’Hodetòt si accontentava di leggerli agli amici, come fece al Grandval, una sera in cui, avendo bevuto un certo vino bianco molto buono ne recitò parecchi al suo vicino di tavola che si trovava essere Diderot, il quale ne fece la confidenza alla sua intima amica madamigella Voland, assicurandola che scintillavano di fuoco, di calore e di immagini, e pare anche che vi fosse tra essi una specie di Inno ad una bellezza femminile, certo molto apprezzata ma difficile a nominarsi, per cui Diderot, che pure non soffriva di scrupoli soverchi, aggiunse: «Se potrò averlo, ve lo manderò; ma quantunque ella abbia avuto il coraggio di mostrarmelo, io non ebbi ancora quello di domandarglielo».

Era forse l’aria del Grandvai che, in-