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204 la signora d’épinay


grazioso e fine. Questa donna, che aveva preso per motto: «Godete, è la saggezza; fate godere, è la virtù,» visse ottantatrè anni in discreto accordo con un marito noioso, felice in un unico amore, adorata dagli amici, serena fino alla più tarda vecchiaia e così calma dinanzi alla morte che fu paragonata ad una allieva di Platone. L’età, al pari degli avvenimenti esterni, non aveva presa su di lei. A diciotto anni, quando la chiamavano ancora Mimi, non si oppose alle nozze col conte d’Houdetót, che era bruttissimo, volgare, giocatore, e già legato ad un’altra donna con un vincolo di affetto che durò tutta la vita, poiché è un particolare curiosissimo questo della fedeltà nel settecento; la fedeltà esisteva, solamente esisteva fuori del matrimonio!

È innegabile che, per quante cattive unioni vi possano essere al giorno d’oggi, non si saprebbe più immaginare un matrimonio concluso nelle condizioni di quello. Le famiglie si conoscevano appena; i futuri sposi niente affatto; un pranzo in comune bastò perchè fosse deciso il contratto, e Mimi che ne sapeva meno di tutti gli altri, si alzò di