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162 | la signora geoffrin |
alle visite, andando a ferire nel fondo della sistematica indifferenza dove stava adagiato sonnecchiando il più grosso peccato del signor Geoffrin: l’avarizia.
Ne nacquero scene e baruffe, nelle quali il buon uomo dovette conoscere a proprie spese quanto sia difficile giudicare che cosa sarà a trentanni una fanciulla di quattordici angelicata ai piedi di un altare. La resistenza della signora Geoffrin era forte per il lungo approvvigionamento di energie, per una volontà indomabile, perchè infine cominciava allora a vivere e pretendeva e voleva la sua porzione di felicità. Il marito era il più debole e dovette rassegnarsi. Quando la signora stabilì definitivamente i suoi pranzi del mercoledì, non gli rimase che la magra consolazione di preparare egli stesso la lista delle vivande, procurando di conciliare il decoro coll’economia; e per molli anni i commensali di quelle agapi che dovevano restare celebri lo videro, immobile e muto di fronte a sua moglie, assistere senza interesse ma con tacita dignità alle dissertazioni dei filosofi, finché nel 1740 morì tranquillamente e oscuramente come era vissuto.