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che non meritava poi tanto rimpianto, perchè era molto cambiata dai primi anni della loro amicizia: «Sì, è vero, era molto cambiala, ma io non Io ero», rispose d’Alembert.

L’ultimo calice amaro riserbato alla Lespinasse fu il matrimonio di Guibert. Ella si rassegnava alle briciole d’amore che il fortunato vagheggino le concedeva di tanto in tanto, avanzi de’ suoi banchetti galanti, pur di conservare qualche cosa; ma quando seppe che sposava una fresca e leggiadra giovinetta, la signorina di Courcelles, il suo strazio divenne insopportabile e ne aggravò per tal modo i mali da sollecitarne la fine. Non vi era più nessuna speranza per lei; la tomba di Mora, le nozze di Guibert e la sua giovinezza finita per sempre! Si comprende con quale strazio ella andasse ad assistere alle rappresentazioni dell’Orfeo e come dieci volte al giorno avrebbe voluto riudire il canto divino dove piange così ineffabilmente il genio di Gluck:

J’ai perdu mon Eurydice...

La lotta fra la fierezza e la gelosia, fra il decoro e l’amore diventa, nelle ultime lettere, tra-