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bici di Chiarina o il rumore del metro trascinato sul banco. Poi più nulla per un pezzo, altro che lo sferruzzare di Chiarina seduta dietro il banco a far calze.

Il rettangolo di sole che si restringeva a poco a poco fino a non essere altro che una sottilissima striscia segnava l’ora del ritorno dalla scuola. Irrompevano allora tumultuosi i fanciulli da veri puledri che hanno rotto il freno, qualcuno per rinnovare la provvista di carta, qualche altro semplicemente nella speranza di ricevere la caramella.

— Piano, piano — gridava Chiarina — badate alle scodelle!

Tutti si rovesciavano dall’altra parte.

— Attenti alle lenticchie!

Era il momento più battagliero della giornata. Non più spinti dalla inesorabile esattezza dell’orario scolastico, sapendo che alla peggio andare il maggior castigo non sarebbe stato altro che uno scapaccione materno, quei folletti si rincorrevano, si accapigliavano, minacciando la solidità del sacco di riso sopra il quale i più piccoli tentavano sempre l’ascensione.

— Via, via, andatevene — ancora la voce di Chiarina che si sforzava di essere severa. — Andate a casa!