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gombri e schiarita a quel modo, la lurida tana si trasformò in una assai decente stanzina, dove apparve, al principio di marzo, un banco greggio, sì, ma nuovo fiammante, e dietro al banco una scansia e a fianco della scansia una bilancia e un metro.

— Chi sa cosa vorrà vendere! — diceva il solito qualcuno all’orecchio degli sfaccendati: ma gli sfaccendati questa volta non si incaricavano di indovinare. Tanto s’avrebbe visto.

Nel frattempo Chiarina correva dalla casa vecchia alla bottega nuova, sempre affrettata per non abbandonare a lungo la sua protettrice, acquietando nel lavoro forzato e nel movimento l’interna tristezza. Un po’ pigiati, è vero, ma ella era riuscita a far stare quasi tutti i mobili nel nuovo alloggio; molto più che Giuseppe era capitato all’improvviso, come l’altra volta, per ritirarne un terzo.

Tentò Chiarina in questa occasione di domandargli che ne avesse fatto delle granatine della mamma, ma quegli alzò le spalle con mal garbo, e Chiariva, sospirando, non ne parlò più. Non doveva ella corazzarsi contro queste eccessive tenerezze di ricordi? E contro