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calore interno, un bisogno di espandersi, per cui cantava a mezza voce le due o tre canzoni popolari che conosceva per averle udite in paese, meravigliando la signora Firmiani la quale pensava: Canta vuol dire che è allegra.
Ma una volta Enzo, stando curvo sulla tavola a tracciare col compasso certe linee in un suo disegno e rialzandosi poi bruscamente e facendo un passo indietro per contemplarlo meglio, soddisfatto forse, cantarellò:
«Le parlate d’amor o cari fior»
e Chiarina, che stava seduta a cucire, si sentì a tali parole un fiotto di sangue urtarle il cuore così violentemente da rimanere stordita. Per tutto il giorno le parole belle e strane le ronzarono nelle orecchie, le solleticarono il labbro, echeggiarono nel suo petto folli di giovinezza e di desiderio. E più tardi, quando fu sola, si arrischiò a modularle colla voce; e nei giorni seguenti, nella camera stessa di Enzo, toccando i suoi abiti e le sue cravatte, non più pensando alle canzoni del paese, trepida e furtiva come un soffio dell’anima le varcava i labbri la frase incantevole:
«Le parlate d’amor o cari fior».