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i suoi riposi riuscivano infinitamente dolci e nulla le tornava più caro del sedere al tramonto, colle mani sotto il grembiule e gli occhi un po’ chiusi, per gustare meglio le visioni interne. Ella ripeteva allora il motto di sua madre: «Faccio la signora per un’ora».

Mai però i tramonti del suo paese le erano sembrati belli come il tramonto di quella lieta Pasqua. L’aria era tiepida. Stando sulla porta della Villa Firmiani vedeva la sua casetta chiusa colla sfilata dei pioppi davanti e dal poggio le sue glicini le inviavano ondate di profumi: sua madre, suo padre, la sua casetta, le sue glicini... fino a quando sue?...

Il malinconico pensiero non si sofferma stavolta: passa ratto e Chiarina è maravigliata di trovarsi tanta giocondità nel cuore. Sì, Chiarina è lieta, lieta come non mai. Ha sedici anni, è un giorno di primavera, ha lavorato, ora riposa; perchè non sarebbe lieta?

Ma Chiarina canta e Chiarina non aveva mai cantato. È un suono flebile senza parole quello che esce dalle sue labbra, come se non avendo nessuno vicino a cui parlare sentisse