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dusse di sopra, la aiutò a svestirsi, compì metodica e tranquilla le faccenduole che ogni sera si rinnovavano e che la trovavano sempre volonterosa e serena. Quante ancora dopo che la signora Firmiani fu coricata! Spegnere tutti i lumi, serrare tutti gli usci, visitare il focolare in cucina per assicurarsi che fosse ben freddo, e poi ancora uno sguardo ai piccoli, a Giovannino, a Mariuccia, e poi sola, sola con Dio che ella pregava tutte le sere un po’ più a lungo del mattino.
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Il giorno di Pasqua fu, quell’anno, di una bellezza straordinaria.
Già fin dal mattino il cielo era così limpido che il signor Firmiani, ritto sulla porta, colle mani in tasca e gli occhi per aria, aveva esclamato: Pare un cielo meridionale! C’erano presenti Enzo e Chiarina, la quale passava per caso con quattro ova nel grembiule, raccolte allora allora. Ella udì la parola meridionale di cui le sfuggì il significato, e vedendo che Enzo approvava con un cenno silenzioso del capo, fu presa da una improvvisa vergogna per la propria ignoranza. Ma non ebbe tempo di coltivare quel pensiero.
C’era gente a pranzo; bisognava prender