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generale di disordine Chiarina arguì che gli antichi clienti la avevano abbandonata. Gettò uno sguardo cupido per entro le imposte socchiuse, pensando che il più bel giorno della sua vita era sorto là fra quelle umili pareti, tra quelle tenebre discrete, ed affrettò il passo, temendo di cedere troppo alla commozione.
— Vedi come è ridotta la Villa? — disse Giovanni arrestandosi dinanzi all’ampio fabbricato bianco un tempo ed ora corroso dall’incuria e dalla umidità che aveva tracciato sui muri lunghe striscie brunastre.
Chiarina guardò il cancello, dove l’esile pianta di caprifoglio era stata soffocata da una invasione di male erbe, e rammentò le domeniche solatie in cui Enzo si poneva all’entrata di quel cancello per veder passare la gente del paese; rammentò la nonna Firmiani, quando usciva per andare a messa colla sua cuffia di tulle nero ornata di rosette color viola, e per quanto non volesse commoversi, le rimembranze erano troppo vive per lasciarla indifferente. Affrettò il passo ancora, ancora.
— Come corri! — disse Giovanni.
Appena fuori del paese, sul nastro della via provinciale che si slancia attraverso i campi, eccola la casetta a un sol piano, col tetto vermiglio,