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condurre a termine e dove la sua presenza permetteva ai giovani fidanzati di passare insieme ore deliziose.

Cadeva appunto una sera della metà di luglio e nell’appartamento di via Gesù, con tutti gli usci e tutte le finestre aperte, il caldo era insopportabile. Solamente verso le finestre che davano sul giardino si respirava un’aria che l’umidità degli alberi sottostanti faceva sembrare fresca. Giovanni e Mariuccia la bevevano con avidità, sporgendosi fuori sul davanzale, confidando alle tenebre che scendevano lentamente i loro piccoli segreti di innamorati felici.

In fondo alla stanza, che era una specie di vasto tinello mobiliato con sedili di paglia leggera e finissime stuoie sparse sul pavimento di mosaico veneziano, Chiarina seduta nel raggio della luna si abbandonava alla dolcezza della contemplazione, il solo piacere egoistico ch’ella si fosse mai concesso. Colle palpebre socchiuse il pispiglìo degli amanti le giungeva come a traverso un velo di oblio molle e voluttuoso in cui tutta la sua volontà si perdeva e in quello stato di sopore magnetico non si accorse che un’ombra era scivolata silenziosamente sulla sedia dirimpetto alla sua, Enzo.