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all’altra tavola. Riscaldandosi a vicenda quasi ciascuno sovrapponesse ai torti che credeva di aver ricevuto i torti narrati dai compagni e li sentisse tutti gravare sul proprio capo a guisa di una formidabile oppressione, si eccitavano via via; ed eccitandosi nel disgusto delle colpe dei padroni, vedevano salire a galla come bilancia vuotata da ogni peso le loro proprie virtù. Uno per uno si riconosceva a sua volta pieno di meriti, di qualità sconosciute e oltraggiate.

Io — disse il giovinotto dalla maglia nera — avevo una tosse d’inferno nel momento che il lavoro era cresciuto e per non danneggiare il padrone non mi volli curare nemmeno restando a casa una giornata, che sarei divenuto tisico certamente se non fossi così robusto. Non credi Walter che fu amore al padrone?

— Va avanti, va avanti — ghignò Walter — tanto i padroni bisogna abolirli e botta più botta meno fa lo stesso.

— Tisico sarei diventato! — ripetè il giovinotto picchiando un pugno sulla tavola.

—Ed io — saltò su l’operaia in nastri — io che l’ho una figliuola tisica, posso forse stare a casa a curarla? Noi siamo gli schiavi dei