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importante occupazione. E dopo che le ebbe servite ben cosparse di zucchero sopra un piatto a pagode chinesi bevettero, tutte e due, un dito di vino bianco moscato e si dichiararono soddisfattissime. La Gigia immobile nel lettuccio che non abbandonava più, assistette sorridendo senza prender parte al banchetto ma volle assaggiare una piccola cialda zuccherata e questo minimo fra i piaceri a lei che non ne conosceva alcuno parve grande.
Quando il calore intenso del meriggio venne scemando e che sul muro di fronte il riverbero del sole allontanandosi permise alla vista di spaziare oltre i tetti, Chiarina spalancò i vetri dell’inferma e si pose a giuocare colla piccina sulla ringhiera dalla quale si scorgevano le finestre chiuse, la scala deserta, il cortile abbandonato. Il dottore però non era partito come tutti gli altri: i suoi ammalati non glie lo avevano permesso, e per questo reduce dalle visite veniva al pari di Chiarina a cercare un po’ di fresco sulla ringhiera del secondo piano. Chiarina lo vedeva col giornale in mano e il sigaro in bocca a fare anche lui «il signore per un’ora».
— Come, dottore, lei pure in galera? Credevo di esserci io solo.