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che mediante un regolare esercizio potè riprendere l’uso delle gambe. E poichè la madre, frettolosa al mattino di abbandonare le sue creature, lasciava che macerassero nel letto, andava lei a vestirle e a preparare per la piccina una bevanda mista di orzo, di segale e di frumento che poi le lasciava per sostegno durante la giornata. La sua attività amorevole era sempre in cerca. Ella ornava di fiori nelle domeniche estive la finestra della tisica; le ridiceva qualche favola letta o udita quando era ella stessa una fanciulletta dalla bocca della signora, Firmiani. La povera Gigia, scarsa di parole e di sensazioni, aveva però nei grandi occhi un raggio nuovo, il solo dono che la vita doveva largirle nella pietà di Chiarina; e quando i fanciulli del vicinato irrompevano tumultuosi sulle scale e per le ringhiere, il fatto doloroso della sua solitudine e della sua impotenza le veniva ancora dalla compagnia di Chiarina addolcito e confortato.
Nell’agosto sopratutto, l’orribile agosto milanese, su quella ringhiera piena di polvere e di arsura dove nei tramonti afosi giungevano ondate di odori nauseabondi e i muri e le pietre scottavano fino al cader della notte e il