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Con sommo tatto, con somma prudenza, mostrando desiderio di spassarsela colle bambine nelle poche ore che si fermava Chiarina ottenne di penetrare nella stanza dei suoi vicini. Era una stanza sola vasta e lurida. Il suo occhio esperto ne abbracciò subito i particolari ributtanti ed accostandosi al letto ove dormivano le due sorelle, dovè farsi forza per vincere la ripugnanza del lezzo. La madre spiegò freddamente che la maggiore era tutta una piaga e che alla piccina incominciava già una spina ventosa in una gamba. Concluse con inaudito cinismo:

— Il meglio che possono fare è di morire per liberare sè e gli altri.

Chiarina, come le accadeva sempre nei momenti supremi, invece di dar fuori in parole raccolse e si strinse in petto indignazione, orrore, pietà. Ma il suo piano era già formato.

Cheta, cheta, col suo passo d’ombra senza lasciarsi scorgere da nessuno, ella andò a suonare il campanello del dottore che reduce appena allora dalla sua giornata laboriosa la accolse in pantofole nel modesto studiolo, rifugio disperato dei libri e dei mobili migliori adunati là per sottrarli alla vivacità distruggitrice