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e nella prima, oltre a un lettuccio per Giovanni, c’ erano gli attrezzi di cucina, una credenza e la tavola di legno bianco.

Ma questi poveri mobili portati via dalla loro cornice campagnuola non facevano gran figura nell’alloggio cittadino. Ogni mattina, spolverandoli accuratamente prima di recarsi al negozio, Chiarina pensava quanto sarebbe stata meglio in quella stanza, invece del misero lettuccio colla coperta gialla, una bella ottomana ricoperta di cretonne fiorata, e in luogo della tavola umile di legno bianco sulla quale tanto lardo era già stato battuto e tante minestre scodellate, un tavolinetto di legno di noce con un bel tappeto sopra.

— Ih! Ih! — faceva Giovanni udendo l’esposizione di questi sogni dorati: — bisogna essere ricchi per far ciò.

Intanto fratello e sorella vivevano con una sobrietà da trappisti. Il polentaio continuava a somministrare loro il pasto del mattino e alla sera Chiarina lasciava il negozio una mezz’ora prima per andare a casa a preparare la zuppa della cena.

Le ore più belle erano sempre quelle della sera, quando, accesa la loro lucernetta, se ne stavano