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non sembrava affliggersi della mancanza. Sposa recente di un uomo molto più attempato di lei, veniva chiamata dal vicinato la bella sposa ed ogni sua cura era rivolta ad adornare codesta bellezza. Certo se donna Ersilia faceva sfoggio di vecchi abiti di raso e di vecchie pellicce di martora arrossata, la bella sposa aveva per lei le ultime stoffe venute di Francia e i collari di volpe azzurra, e non si preoccupava affatto se i suoi stivaletti dall’alto tacco urtavano qualche torso di cavolo qua e là. E siccome non c’era pericolo che rialzasse le vesti nel passare in mezzo a qualsiasi lordura, si malignava che lo facesse apposta per sciuparle più presto allo scopo di farne delle nuove.
Se questa era l’intenzione dell’elegante signora non sembrava però quella del marito, per cui le liti fiorivano fra i due coniugi più spesse che non le rose a maggio, e allora donna Ersilia, torcendo il naso e prendendo le sue arie da imperatrice, diceva alla portinaia: «Proprio, in questa casa, tranne me, non vi sono persone distinte».
Il secondo piano, anzichè in due, era diviso in tre appartamenti. Vi abitava il dottore del