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senza tregua di spazio in cinque file serrate.

Nei giorni in cui ferveva il lavoro lo scalpello dello scultore picchiettava metodicamente, facendo sbalzare dal marmo le scheggie sottili, e dalla casa in costruzione rispondeva lo stridore delle carrucole, il tonfo delle assi cadute, il rauco chiamarsi dei muratori, mentre tutto all’ingiro il terreno sparso di cocci, di pietre, di mucchi di calcina sollevava ad ogni momento quelle nuvole dense che il vento di marzo, subentrato alle nebbie invernali, spingeva fino dentro al cortile.

— Vede bene — diceva allora la portinaia erbivendola piantandosi trionfalmente davanti alla signora del primo piano — che non si può tenere pulito qui. E donna Ersilia, che rappresentava in quella casa l’aristocrazia e il buon gusto, doveva accontentarsi della spiegazione.

— Il male è — suggeriva poi donna Ersilia alla signora che divideva con lei il privilegio di abitare al primo piano — il male è che in questa casa, tranne noi due, non vi sono persone distinte.

Ma la signora a cui veniva fatta questa insinuazione