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sottane tenute ben alte da terra e colla voce autorevole di chi ha visto comandare un reggimento le faceva i più aspri rimbrotti. La portinaia erbivendola, senza confondersi, dava mano alla granata e fingeva di andare a pulire le scale, ma il risultato più evidente era quello di aggiungere alla sporcizia di prima qualche foglia di insalata o delle radici fradicie cadute dal suo grem-biule.

Nei locali a terreno in fondo al cortile aveva piantato il suo laboratorio un lavorante di marmi, e la visuale immediata che si presentava a chi metteva piede sui rombi rossi e azzurri della soglia era una sfilata di lastre di bevola con qualche blocco di granito frammezzati da croci, da pile d’acqua santa, da arche funerarie tolte a vecchie chiese, ed altri simili oggetti allegri. Dall’apertura dello stanzone poi, dove lavorava lo scultore con un camiciotto di tela e un berretto di carta, si scorgevano appese ai muri mani e gambe di gesso, e tutto quel biancore terroso strideva nell’ampio cortile sgangherato a cui faceva da cortina finale l’edificio che si stava costruendo, grezzo ancora ne’ suoi muri di mattoni vuoti, colla sforacchiatura delle finestre fitte fitte, rincorrentisi