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famiglie di piccoli impiegati venuti dalle provincie per esigenza di ufficio, formanti tutti insieme una popolazione mista, con usi, abitudini, dialetti differenti e tali da dare l’impressione di una città nella città.
Il fabbricato sorgeva tra Porta Ticinese e Porta Genova. Tutto bianco, di un bianco economico senz’ombra di colore, mostrava subito dall’esterno lo scopo di speculazione per cui era stato fatto, e benchè avesse qualche pretesa di lusso affidata a due balconi di pietra fiancheggianti la porta ed alla entrata col pavimento di mattonelle a rombi rossi e azzurri, l’aspetto generale era piatto, volgare, senza carattere. Formato di tre ali in muratura rizzavasi per l’altezza di quattro piani circondando da tre lati il cortile, il quale aprivasi dall’altra parte sgangherato e boccheggiante sopra un’area terrosa dove stavano erigendo una fabbrica e di dove venivano a tratti spinte dal vento colonne di polvere e di terriccio.
Se tutto in quella casa era troppo nuovo incominciando dall’intonaco, dai rombi, dai balconi, fino alla scala che slanciavasi ampiamente con intenzioni moderne care all’igiene, era però tutto così mal fatto e mal tenuto