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si perdevano; neanche la terraglia dei piatti e il metallo dei coperchi non rilucevano più affogati nulla nebbia crepuscolare. I sacchi del riso e delle lenticchie si ritraevano nel loro angolo buio, le pezze di cotonnato sparivano nelle profondità del soffitto. Chiarina, pari ad una statua, si immobilizzava sulla sua seggioletta colle mani sotto il grembiule e l’occhio fisso; ma il suo cuore palpitava, il suo cuore era caldo di una fiamma continuamente alimentata nel pascolo del ricordo. Il gran giorno luminoso proiettava ancora sulla sua pallida vita un fascio di raggi.
Il maggiore avvenimento di quell’inverno fu una visita di Giuseppe. Egli venne mal concio, lacero, affamato; secondo la sua abitudine non entrò in molti particolari, ma bastava il suo aspetto a commuovere Chiarina.
Disse appena che era stato chiamato alla leva militare, che doveva partire a giorni, che non aveva un soldo, e finì chiedendo cinquanta lire in prestito.
Chiarina non aveva cinquanta lire, ma se egli poteva aspettare il ritorno di Giovanni se ne sarebbe parlato.
— Non hai i denari che ti lasciò la signora Firmiani! — chiese improvvisamente Giuseppe,