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darsi, la prendevano sempre alla sprovvista come se avesse perduta ogni nozione del tempo.

Crudeli nella sincerità dell’istinto i più grandicelli avevano osservato queste distrazioni di Chiarina e ne approfittavano per spaventarla con assalti bruschi, con improvvisi rumori, ridendo poi della sua attitudine offesa.

La piccola orda barbara, invadente, chiassosa, distruggitrice, rompeva per poco la monotonia grigia delle giornate invernali.

Le rotonde guancie rese pavonazze dal freddo, gli occhi lucidi imploranti le caramelle, i nasini che percorrevano l’orlo del banco lasciandovi una striscia umida, danza vano per poco nel velo oblioso che sembrava sceso sulle pupille di Chiarina. Ella vedeva come un sogno un volo di sciarpe turbinanti intorno ai colli che dovevano proteggere, udiva grida, tossi, soffiar di nasi, sbatter di zoccoletti; poi un fruscio di pecchie sciamanti fra scoppi di risa e colpi di quaderni sulle spalle, poi silenzio.

Col vespro la luce andava scemando a poco a poco; Chiarina non ci vedeva più a lavorare. Ogni cosa nella botteguccia si vestiva di una tinta grigia indecisa; i contorni