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scollati e le scarpine ad alti tacchi; scivolavano, con un fruscio di panieri rigonfi dietro i paraventi dorati, su uno sfondo verde tenero dipinto ad amorini.

Un galante cavaliere in calzoni di raso color perla, col cappello schiacciato sotto l’ascella e lo spadino ciondolante sulle coscie, le passava in rivista, ciarlando con un abatino dagli occhi a mandorla, dalla parrucca profumata e dalle mani candide coperte di brillanti.

Parchi ombrosi, mormorio di ruscelli, susurro di fronde, taciti sospiri d’amanti incompresi, lunghi baci d’amanti felici; sogni, palpiti, speranze, memorie, tutto ciò scaturiva dalle note, ondeggiava nei cervellini commossi, suscitando piccoli fremiti di piacere.

Una giovane vestita di bianco, con due cerchi plumbei sotto agli occhi, cantò l’aria di Gluck nell’Orfeo: «Che farò senza Euridice» e le marchese civettuole scomparvero, scomparvero gli abati e i cavalieri in spadino. Una fiamma