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I primi morsi della fatale passione li aveva avvertiti in un senso di malinconia e di gelosia fortissima. Quando Emanuele usciva di casa, i muri le sembravano più tetri, il silenzio più sepolcrale. Si abbandonava sul davanzale della finestra, coll’occhio perduto nel vuoto orizzonte, anelando dietro i passi di lui; invidiava il selciato sul quale egli posava il piede, l’aria che gli agitava i capelli, le persone che lo vedevano, gli oggetti che egli toccava, i libri che lo interessavano; il paesaggio, il muro, l’insetto, il granello di polvere sul quale cadeva lo sguardo di lui dolce e freddo.
Una smania terribile la struggeva nelle lunghe sere d’inverno, pensando ai tiepidi salotti che lo avrebbero accolto, tra i sorrisi di donne eleganti e felici; e nei languidi pomeriggi estivi, immaginandolo al rezzo dei giardini, nella penombra delle verande, in quella società, in quel mondo da cui essa era bandita.
Nè la fantasia si chetava su queste immagini;