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davanti allo specchio, e dappertutto lasciava una traccia del suo profumo molle e sensuale.

Quando era uscita, Maria apriva la finestra; si lavava la faccia, il collo, le mani, nauseata e irritata, con un morso di gelosia nel cuore.

All’asciolvere era un altro supplizio. Sofia si divertiva a punzecchiare suo marito, chiamandolo freddo e insensibile, convalidando l’argomento con allusioni scabrose, mettendo arbitra l’amica. Una volta Sofia era in vena di civetteria; prese dal piatto una ciliegia e scherzando, ridendo, colle sue moine vezzose volle per forza che Emanuele la mettesse in bocca e, siccome resisteva, si levò di scatto e andò a sedersi sul bracciuolo della poltrona dove egli stava seduto, continuando l’assalto.

Tutti i giorni vi erano scene di questo genere, insopportabili, grottesche. Emanuele sembrava impazzirne.

Non potevano quasi mai trovarsi soli. Emanuele, timido, non osava chiedere a Maria cosa