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Lo rilesse ancora, quasi avesse desiderio o paura di risentire l’emozione che provava, un tempo, leggendo le lettere contenute nel vecchio vaso di terraglia. Ma non sentì nulla. Ripiegò il biglietto e lo pose in una cassettina dove soleva tenere tutta la sua corrispondenza; non le venne neppure il pensiero di stracciarlo.

Come uno che abbia avuto ammalato un braccio, lentamente lo tocca per sentire se gli duole ancora, Maria provava ad ascoltare sè stessa quando Emanuele le stava vicino, quando la fissava con quei suoi occhi chiari o, nel salutarla, le stringeva la mano con disperato ardore.

Lo guardava qualche volta con un senso bizzarro di curiosità, pensando: «È per costui che ho sospirato otto anni, che ho sciupato in ansie e desideri vani le forze vitali del mio cuore; è per costui che sono stata tanto infelice, è per costui che quasi morivo.» E si metteva ad esaminarlo attentamente, minuziosamente nei capelli, sulle guancie, sulla bocca bella e gentile, fresca