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86 il libro di mio figlio


Quando il prete sale in pulpito stanno tutti attenti; quando canta lo accompagnano in una lingua che essi non intendono affatto; rivolgono a Dio, alla Madonna una quantità di preghiere delle quali ignorano il significato: ma in quella elevazione qualsiasi delle anime i duri volti si illuminano, qualche pupilla si vela di lagrime di tenerezza. Da tutti i cuori si sprigiona un lamento, una domanda, uno sfogo.

I filosofi, le persone istrutte, coloro che mangiano bistecche e leggono Schopenhauer, si capisce, possono fare a meno di ciò. Essi l’hanno il loro ideale, alto, orgoglioso, libero, comodo sopratutto.

Ma a questi poveri diseredati che cosa resterà se togliamo la loro piccola chiesa e il loro piccolo culto? Se togliamo quella fede misteriosa, quella speranza vaga, quel dolce e terribile ignoto che li frena e li consola?

Che cosa daremo loro invece della pace del tempio, della solennità dei riti, della