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mani si slanciano insuperate antenne verso il cielo. Non sapeva spiegarsene il perchè ma quelle due vette così vicine e che non si toccano mai, quelle prigioniere della terra anelanti all’infinito le davano un senso di nostalgia e di malinconia insieme così spesso ripetuto, così noto, così dolce al suo cuore che di quegli alberi faceva per lei due fidi amici e il cadere delle loro foglie la rattristava sempre un poco.
La solitudine più cupa l’attendeva colla brutta stagione, privata della vista famigliare degli alberi, dell’acqua, dei mattini ridenti animati dal cinguettio delle rondini sui vecchi muri, dai bei tramonti laggiù verso Porta Romana, quando il cielo fiammeggiava in una curva di luce drappeggiato d’oro e di porpora con una morbidezza di cupola fantastica sospesa sopra la città. Era la solitudine fredda della sua camera, dove l’immaginazione della fanciulla soffocata dalla ferrea muraglia di una esistenza meschina fioriva sotto le sue pallide mani nelle roselline delicate, negli esili steli delle viole che ella disseminava sulla stoffa del suo lavoro contando lentamente le ore che suonavano