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in alto; Guido Pesaro colla sua barbetta nera acuminata, Daisini composto e sorridente, l’Agrati in attitudine di mago che scruta gli astri, Stello vibrante come una corda di liuto.
Gridavano ancora tutti una volta, l’ultima volta, nella loro ebbrezza goliardica: — Viva Cònsolo!
Egli dovette rispondere, gli altri replicarono. Fu per qualche istante un incrocio di parole e di saluti dal balcone al ponte.
Tacquero finalmente e il tumultuoso drappello svoltò l’angolo, mentre Filippo Cònsolo con una mano appoggiata alla ringhiera penzolava il corpo seguendo il rumore dei passi che si allontanavano.
Accadde allora una cosa singolarissima. Sulla mano che egli teneva appoggiata alla ringhiera Filippo avvertì una impressione morbida e tiepida, fuggevole come se l’ala palpitante di un uccello lo avesse sfiorato passando; più fuggevole ancora; come se un raggio lo avesse tocco o due labbra sovrumane vi avessero sfiorato un bacio estinto prima di scoccare. Si volse di botto.
Una piccola figura bianca stava in piedi