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Filippo Cònsolo era morto di scarlattina e nessuno pose in dubbio che egli l’avesse presa stando presso al letto del bambino. Per tale circostanza fu affrettata la cerimonia della deposizione nel feretro e soppressa la pompa del funerale.
La sera medesima stava la cassa mortuaria accuratamente rinchiusa nel mezzo della camera, schierati mestamente i famigliari fra le torcie accese e pronti i necrofori, quando nel vano della porta spalancata, alta ed impressionante visione apparve una figura di donna tutta chiusa in negri veli, sollevati appena sovra i capelli a mostrare la fronte d’avorio e i fieri occhi luminosi e freddi che Minna riconobbe subito.
Ella pure, la donna velata, come ne avesse lunga consuetudine, seppe discernere Minna fra le altre persone. Si avanzò a lenti passi (solo un imperioso dominio vietava che fossero vacillanti ma il volto era spaventosamente pallido) e quando fu dinanzi a Minna la interrogò cupamente:
— Che avete fatto di mio figlio?
Nessuno in quella camera conosceva la nuova venuta ma tutti si ritrassero con un