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quell’istante non riconobbe più nessuno. Pulsava ancora il suo cuore che già nell’intelletto si era fatto buio.

L’angoscia di Stello sfogavasi in singhiozzi. Non poteva, non voleva credere. Aveva troppo amato in Filippo il maestro, il duce, l’amico, e troppo lo aveva innalzato al di sopra degli altri uomini perché non gli mancasse con lui tutto un nucleo di forze spirituali che trascinavano, cadendo, la rovina di ogni sua speranza e calpestavano le rose più pure del suo sogno giovanile.

Erano in due a’ piedi del letto ad assistere l’agonia di Filippo. Stello, dato tutto intero al dolore; Minna già vedova del suo ideale ma fedele ad esso e compresa del dovere di tenerlo alto al disopra dei propri disinganni; Minna, pure addolorata, si trovava avvolta in quell’etere di sentimenti superiori dove il dolore nel suo significato umano perde ogni potere e al di sopra di esso la coscienza di trovarsi al proprio posto si innalza sfolgorante di sì viva luce che tutta l’anima ne resta pervasa e consolata.

— La madre non ha risposto? — chiese