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Sola al capezzale di Filippo nella notte che incombeva lenta e solenne Minna stava quale statua composta, fermo lo sguardo e tranquillo, ma dietro il solco profondo della sua fronte il pensiero roditore scavava, scavava.

Eccole adunque dinanzi disarmato, vinto forse, l’uomo che un istante di oblìo gettava nelle sue braccia e che non le aveva perdonato mai di essere stata l’involontario incentivo della propria debolezza. Dopo sette anni di umiliazioni e di sprezzo non era ancor sazio l’odio che dall’orgoglio ferito del maschio sgorgava in polla velenosa sulla donna inerme e l’indistinta sensazione di averlo finalmente in suo potere gonfiava di una linfa generosa il petto di Minna, quasi tesoro di promesse gioie, quasi porta dischiusa sopra una interminabile fuga di nuove ascensioni.

Lo vedeva assopito nel torpore della febbre, colla testa riversa sul guanciale, non dòma ancora eppure già sfiorata da un’ala invisibile che gettava un’ombra sulla rigidezza fiera dei lineamenti. Era nelle sue mani; lui così forte, lei così meschina! Una pietà la prese, improvvisa per quel di-